Comuni, costose e subdole, perché impattano negativamente sulla fertilità della bovina anche quando i sintomi sono scomparsi: è questo l’identikit delle patologie uterine del post-parto tracciato a Garda, (Vr) in occasione del 28esimo meeting annuale della Siet (Società italiana di embryotransfer). E il fatto che metriti ed endometriti siano state al centro dell’attenzioni dei veterinari che si occupano di embryotransfer non deve certamente stupire: si tratta infatti di patologie in grado di limitare fortemente sia la possibilità che la donatrice produca ovociti sani, sia la possibilità che l’embrione attecchisca nell’utero della ricevente. Piuttosto dovrebbe preoccupare la crescente importanza che queste malattie stanno assumendo a livello mondiale nelle stalle da latte: secondo i dati presentati a Garda, esse colpiscono il 20-40% delle bovine in post-parto, con danni che possono arrivare fino ai 400 euro a caso considerando non solo i costi del veterinario e delle terapie, ma anche il peggioramento delle performance riproduttive (ritardo dell’estro, allungamento dell’intervallo parto concepimento, crollo del CR%) e il calo della produzione lattea.
Metriti ed endometriti portano a infertilità e subfertilità (da Sheldon, 28esimo meeting annuale della Siet. In ascissa: giorni dal parto; in ordinata: % vacche)
Ritorno al passato
Metriti ed endometriti sono però delle vecchie conoscenze dei buiatri, visto che sono segnalate in letteratura fin dagli anni ’40. Eppure, nonostante fossero provocate dagli stessi batteri (E. coli, Trueperella pyogenes, anaerobi Gram negativi), in passato queste patologie erano molto più rare, coinvolgendo non più del 6-7% delle vacche in post-parto. Dunque cosa è cambiato? Interessante la chiave di lettura offerta a questo proposito da Martin Sheldon, uno dei massimi esperti in materia a livello mondiale: secondo il docente britannico le vacche di un tempo erano più resilienti, ovvero erano in grado di applicare con maggiore efficacia le tre strategie a loro disposizione per fronteggiare i patogeni: l’evitamento, la tolleranza e la resistenza attiva. Evitare i patogeni era infatti molto più facile in un contesto di allevamento al pascolo, dove i soggetti malati potevano isolarsi (ed essere evitati) dal resto della mandria. In più vacche geneticamente diverse, caratterizzate da un assetto ormonale del tutto differente da quello attuale, e non sofferenti di stress metabolici, riuscivano a riparare meglio le lesioni uterine provocate dalla malattia (tolleranza) e a reagire meglio ai patogeni mettendo in atto una risposta infiammatoria immediata e robusta (resistenza attiva). Come ritornare al passato? Secondo Sheldon, piuttosto che continuare a fornire strumenti di resistenza attiva (eliminazione dei patogeni con gli antibiotici) occorrerebbe potenziare la tolleranza delle bovine, attraverso un migliore controllo degli stress metabolici e delle dismetabolie (chetosi, ipocalcemia, ecc.) e più in generale dei fattori stressanti.
Limitare l’incidenza
In questo contesto assumono rilievo anche le altre misure preventive che l’allevatore può disporre nei confronti di queste malattie: considerato che i traumi uterini sono il fattore che maggiormente favorisce la rottura degli equilibri e l’instaurarsi della patologia uterina, è bene che gli allevatori concentrino la propria attenzione sugli eventi che per l’utero sono maggiormente traumatizzanti: le distocie, le ritenzioni placentari, la nascita di vitelli gemelli e la nascita di vitelli maschi nelle primipare. Quest’ultimo – ha ricordato Sheldon – è il fattore predisponente che pesa di più a livello di popolazione, ma è anche quello su cui gli allevatori hanno maggior gioco: attraverso un uso sempre più sistematico del seme sessato femminile sarà dunque possibile limitare l’incidenza delle patologie uterine. Senza naturalmente dimenticare il capitolo della prevenzione genetica: puntando su fitness e fertilità, gli allevatori potranno popolare le loro stalle con vacche sempre più resilienti a queste (e ad altre) patologie.
Una corretta diagnosi di queste forme patologiche è la premessa indispensabile per una terapia mirata
Riflettori su poche
Per quanto riguarda invece il trattamento di queste malattie, spunti interessanti sono giunti dalle due relazioni presentate da Giovanni Gnemmi, secondo cui in coincidenza delle visite del veterinario, è indispensabile evitare di tenere in cattura l’intero effettivo di bovine in post-parto. Ecco perché l’allevatore o il tecnico aziendale dovrebbero segnalare, in base ai sintomi clinici e ai dati catturati dai sensori, le vacche bisognose di una visita approfondita, su cui poi il veterinario è chiamato a formulare diagnosi accurate e terapie mirate. Compito non facile, visto che metriti ed endometriti sono ossi duri anche per lo specialista.