Fuel cell, in rotta verso l’impatto zero

Un modello di cella combustibile

Tecnologia

Fuel cell, in rotta verso l’impatto zero

Le celle combustibili potrebbero essere una svolta nella produzione di energia elettrica nelle aziende con impianti di biogas? In California ci sono già allevatori che si sono affidati a questa tecnologia. Scopriamola insieme

 

Produrre energia elettrica dal biogas senza passare attraverso il processo di combustione che avviene nei cogeneratori tradizionali? È possibile! Lo dice l’ingegnere aerospaziale K. R. Sridhar. E il viaggio inizia da Marte. Alla fine del secolo scorso il professor Sridhar è consulente della Nasa per la parte energetica legata al Programma di esplorazione del Pianeta Rosso. È così che inventa le fuel cell (celle combustibili), in grado di trasformare i gas atmosferici marziani in ossigeno ed energia elettrica.

Quando il progetto Marte viene abbandonato dall’Agenzia spaziale, il professore converte questa tecnologia e mette a punto le fuel cell a ossido solido, con il sogno di produrre energia pulita in modo efficace, affidabile e alla portata di tutti, sulla Terra. Nel 2001, in California, fonda la Bloom Energy (San José, Silicon Valley), di cui oggi è CEO, che ha raggiunto 1 miliardo e 300 milioni di dollari di fatturato, è quotata al New York Stock Exchange e capitalizza 4 miliardi di dollari.

 

Anche in Ferrari

Negli ultimi 15 anni Bloom Energy ha installato circa 1.300 impianti in giro per il mondo, principalmente negli Stati Uniti, in Giappone, in Corea del Sud e da qualche anno, anche in Europa. In Italia, ad installare il primo impianto a celle combustibili Bloom Energy è stato lo stabilimento Ferrari, a Maranello, ormai un paio d’anni fa. Oggi in Italia si contano una trentina di gli impianti Bloom Energy (www.bloomenergy.com). Queste fuel cell sono in grado di produrre energia elettrica a partire dal metano di rete e dal biometano, ma anche direttamente dal biogas. Ma come funzionano? Ce lo ha spiegato Danilo Serioli, referente italiano per Bloom Energy.
La chiave di tutto è un sottile elettrolita di ossido solido i cui due lati sono ricoperti di una lamina polarizzata (da una parte l’anodo e dall’altra il catodo). In sua presenza, l’ossigeno atmosferico reagisce con l’idrogeno producendo energia elettrica e calore.

 

biogasfuelusa.png

Steve Shehadey, allevatore di Kerman (California), titolare della “Bar20”, stalla con 7.000 vacche da latte, dove è in funzione un impianto con fuel cell a ossido solido di Bloom Energy

 

Trasformare il biogas

Ok, ma l’idrogeno dove lo trovo? Dal metano del biogas. Infatti, con un processo di separazione (reforming), dalla molecola del metano vengono prodotti idrogeno e anidride carbonica. Quindi, si parte dal metano e dall’ossigeno atmosferico, per ottenere energia elettrica e calore sotto forma di vapore acqueo. L’energia elettrica viene prodotta con una efficienza del 60%, quando quella dei tradizionali cogeneratori si aggira intorno al 40%. A questa si abbina l’energia termica che ed è esattamente quella necessaria per scaldare i digestori e che viene recuperata, arrivando così ad una efficienza totale dell’85%.

Tutto questo che vantaggi ha? Non essendoci combustione non c’è pressoché alcuna di emissione di particolati, di ossidi di azoto, ossidi di zolfo e di metano residuo, altamente climalteranti. L’unico prodotto potenzialmente di scarto è l’anidride carbonica, che viene comunque considerata neutra e non climalterante secondo le tassonomie europee. Quindi, energia verde a tutti gli effetti.

Come è fatto questo impianto? Circa 2.000 fuel cell vengono impilate in modo estremamente compatto in quelle che sono le unità funzionali del sistema, i moduli operativi che, combinati fra loro come fossero mattoncini per le costruzioni-giocattolo, vanno a formare un server di energia (Bloom Energy Server® platform). Proprio per la sua scalarità, il server è altamente adattabile al variare delle esigenze aziendali. La dimensione minima di un energy server platform, per quanto riguarda il biogas, è di 250 kw e può arrivare fino a molti megawatt. Ad oggi, l’installazione più grande è circa 70 Mw, con altre in fase di consegna superiore ai 100 Mw.

 

biogasfuel3.png

Il problema dei black out è particolarmente sentito dalle aziende californiane negli ultimi anni

 

Chiedilo a Steve

C’è già qualcuno che lo usa in zootecnia? Certo. È Steve Shehadey, allevatore di Kerman in California nella Central Valley, titolare della “Bar20”, fondata negli anni '50 da Larry, il nonno di Steve, cresciuta fino a contare oggi 7.000 vacche in lattazione. La filosofia aziendale si è modificata con gli anni ed oggi, per Steve l’obiettivo è “avere di più con meno”, quindi aumentare l’efficienza riducendo al contempo le emissioni e l’uso di acqua ed energia. Bar20 è arrivata a spendere circa 2 milioni di dollari in energia prima di investire in fonti rinnovabili. È così che è stato installato un digestore anaerobico con il duplice scopo di produrre energia rinnovabile e ridurre le emissioni di metano, che diversamente finirebbero in atmosfera, tanto più che la Central Valley è famosa per avere una pessima qualità dell’aria.

 

Biogasfuel1.png

Sopra e sotto: i grandi digestori a sacco di cui si è dotata la stalla californiana di Steve Shehadey

biogasfuel2.png


Il digestore scelto da Bar20 è prodotto dalla California Bioenergy (calbioenergy.com), è del tipo “a sacco”, diverso per tipologia e dimensioni da quelli ai quali siamo abituati in Italia e Ivor Castelino, Head of Waste to Energy di Bloom Energy, ci ha spiegato che non è la normalità neppure negli Usa, se non in California e in pochi altri Stati del sud, con clima simile. Ad ogni modo, se è vero che i digestori tradizionali sono più efficienti, quelli “a sacco” sono molto più economici.

Ma cosa fare di questo biogas? Convertirlo in energia elettrica in modo altamente efficiente, senza combustione, 24 ore su 24, è qualcosa di nuovo ed è proprio ciò che fanno le fuel cell. Al momento Bar20 ha scelto di combinare due diversi sistemi - energia solare e fuel cell (1 Mw) - ed è totalmente autosufficiente. Per produrre la stessa quantità di energia elettrica fornita dall’impianto Bloom Energy di Steve servirebbero circa 16 ettari di pannelli solari. In pratica, dal digestore il biogas viene convogliato in un sistema di purificazione che consente di giungere a una concentrazione di metano almeno del 50% e di eliminare i composti a base di zolfo. Questo perchè il biogas richiesto dalle fuel cell deve essere un po’ più “pulito” rispetto a quello che oggi entra nei motori a gas di cogenerazione standard, ma non così raffinato come richiede invece la trasformazione in biometano (ad esempio non richiede la rimozione dell’anidride carbonica).
Fra l’altro, nella messa a punto di questo passaggio di purificazione, l’Italia sembra poter insegnare qualcosa anche agli Usa, grazie all’esperienza fatta fin qui con i digestori. E nei prossimi mesi verrà attivato il primo impianto italiano realizzato in un allevamento zootecnico, circa il quale c’è molta curiosità. Per l’Italia, Bloom Energy ha annunciato una collaborazione con Cefla per l’installazione di impianti fuel cell, compresi quelli che necessitano di componenti aggiuntivi come il sistema d recupero dell’energia termica (come nel caso del sistema Nova di Cefla).

biogasfuel4.png

La batteria di celle combustibili in servizio nell’allevamento

 

Ampia disponibilità

Tutto verde, ok, ma il materiale con cui sono fatte le fuel cell è sostenibile? Risposta positiva: la componentistica delle fuel cell non prevede l’uso di né di terre rare né di materiali pregiati. Sono fatte di vetro e ossido di metallo, facilmente recuperabili. Peraltro, queste attrezzature non hanno bisogno di una vera e propria manutenzione: poiché i server sono fatti a moduli accoppiati e, anche se un singolo modulo avesse un problema, ciò non impatta negativamente sul funzionamento globale del sistema. Quindi, le fuel cell, giunte a esaurimento dopo alcuni anni di operatività, vengono semplicemente sostituite, direttamente da Bloom Energy o dal suo partner locale. Vengono riportate negli Stati Uniti, rigenerate e letteralmente riciclate per più del 98%. Insomma, sembra davvero che il futuro sia arrivato e il comparto zootecnico è solo una delle potenziali componenti di questo nuovo sistema. E la tecnologia delle fuel cell può aiutare ad affrontare la problematica e allo stesso tempo fornire una significativa quantità di energia pulita. Incredibile ma vero. Ne riparleremo presto su Allevatori Top, restate connessi!

di Serena Soffiantini