Il primo focolaio nazionale di questa malattia virale di bovini e bufalini è stato individuato in Sardegna, in un allevamento del Nuorese. In corso le misure di contenimento previste dalle normative, oltre che l’indagine epidemiologica
di Alessandro Amadei
La notizia è stata data sabato 21 giugno dall’assessore alla sanità della Regione Sardegna, Armando Bartolazzi: confermato dal laboratorio diagnostico di riferimento nazionale il primo caso italiano di Lumpy Skin Disease (LSD o dermatite nodulare contagiosa), individuato in un allevamento bovino del Nuorese. Si tratta di una malattia causata da un Capripoxvirus, a cui sono sensibili bovini e bufalini e che viene veicolato e trasmesso attraverso la puntura di insetti ematofagi (zanzare, mosche e zecche).
Le autorità sanitarie dell’Isola hanno immediatamente disposto le prime misure di contenimento, a partire dal blocco della movimentazione dei capi presenti in 52 Comuni del territorio (distretti di Macomer, Nuoro, Siniscola e Sorgono). L’obiettivo è però l’eradicazione: la LSD ricade infatti tra le malattie del gruppo A del Regolamento Ue 429/2016, ovvero tra quelle malattie infettive che per gravità e capacità diffusiva richiedono le massime cautele.
L’assessorato alla sanità della Regione Sardegna ha rivolto agli allevatori locali l’invito a rafforzare le misure di biosicurezza e a procedere a un attento monitoraggio clinico della mandria. La LSD è caratterizzata da lesioni cutanee multiple, di solito ben circoscritte (con un diametro variabile da 0,5 a 5 cm e con uno spessore di 1-2 mm) che coinvolgono sia la cute che il sottocute e che sono di solito localizzate in testa, collo, torace, mammella, vulva e perineo. Tra gli altri sintomi: febbre, linfoadenomegalia, scialorrea, scolo nasale, lacrimazione e calo produttivo. In caso di sospetto clinico è necessario rivolgersi ai servizi veterinari della Asl di competenza territoriale.

Come la Blue tongue?
In Sardegna è insomma avvenuto quello che i veterinari temevano da più di 10 anni, cioè da quando la malattia, in precedenza endemica in molte aree del Medioriente, aveva raggiunto i Balcani, manifestandosi con numerosi focolai. Nel 2024, poi, erano stati i casi nordafricani e in particolare quelli tunisini a tenere alta l’allerta (vedi mappa qui sopra, riferita alla situazione epidemiologica aggiornata a al 20 giugno e tratta dal sito: https://wahis.woah.org/).
Saranno le indagini epidemiologiche attualmente in corso a stabilire quanto è successo, ma è difficile non pensare a quello che accadde 25 anni fà con la Blue tongue, quando fu il vento a portare sull’Isola i vettori alberganti il virus. Quello che è certo è che per la nostra zootecnia bovina si prospettano tempi duri.