di Alessandro Amadei
Prima il consolidamento, poi l’allargamento del suo paniere di prodotti alimentari e di mercati: questi gli obiettivi della cooperativa calabrese che da quasi 50 anni presidia l’omonimo altopiano al centro del Parco nazionale del Pollino
Anno 1976: un manipolo di piccoli allevatori calabresi, nell’intento di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro, decide di unire terra, Brune e meticce, e grazie ai propri sacrifici e con il contributo della “mitica” Cassa del Mezzogiorno dà vita a una cooperativa agro-zootecnica. Nasce così, in un’oasi meteo-climatica a quasi 1.000 metri di altitudine, strategicamente posizionata nel bel mezzo delle montagne del Parco nazionale del Pollino ed equidistante dai due mari (30 km dal Tirreno e 30 dallo Jonio), la cooperativa Campotenese. Una realtà oggi di spicco nel panorama agroalimentare calabrese, in virtù non soltanto delle ottime performance di stalla, ma anche e soprattutto del successo commerciale ottenuto sulle piazze regionali dalle specialità “della casa”: latticini, formaggi, insaccati e carni bovine di primissima qualità.

Inizio in salita
Ma soprattutto agli esordi è stata tutt’altro che una marcia trionfale, ci racconta il presidente della cooperativa Domenico Maradei: “ero bambino quando all’inizio degli anni ‘80 inaugurammo la prima stalla da 150 capi, munita di fienile. Ma la produzione di latte non eccelleva, così come insoddisfacente era il prezzo che ci veniva corrisposto dalla latteria. Se l’esperienza cooperativa, dunque, ebbe un seguito, lo dobbiamo alla caparbietà e alla straordinaria forza di volontà dei soci di allora”. La prima vera boccata di ossigeno risale ai primi anni del nuovo secolo, quando per superare la carenza di redditività va in porto l’idea della “filiera corta”. Prende infatti forma e sostanza il caseificio interno in cui oggi viene trasformata tutta la marea di latte munta dalla mandria di super-selezionate Frisone della cooperativa. Parliamo infatti di 120 quintali di latte al giorno prodotti da 280 Holstein in lattazione, per una sontuosa media di più di 42 kg di latte per vacca al giorno. E siamo a mille metri di quota in provincia di Cosenza, non a Cremona. “Ma fino a qualche anno fa – chiarisce il veterinario aziendale Santo Sola, che ci accompagna in questo nostro tour sul verde altopiano calabrese – il numero di vacche disponibili era inferiore e anche la dotazione tecnologica, così come il livello genetico, non erano ai livelli attuali. Nel 2008 ad esempio, quando ho cominciato a seguire la cooperativa, le vacche in mungitura erano circa un centinaio, e la produzione era ancorata ai classici 30 litri per vacca”.

Su le performance
Oltre che all’insediamento di un nuovo staff dirigenziale (“che ha avuto il merito di cominciare a tener dietro al conto economico” suggerisce Sola), la crescita delle performance zootecniche è dovuta a un composito mix di fattori: nuove stalle più confortevoli per la mandria (“step in seguito al quale le cellule somatiche nel latte di massa sono scese a 250mila unità per millilitro”), passaggio alla terza mungitura (“l’incremento produttivo è stato del 14%”), per non parlare del miglioramento della qualità dei foraggi e più in generale della dieta. “Per esempio oggi – fa notare il presidente Maradei – il siero del nostro caseificio viene utilizzato come bevanda per le vacche, fredda d’estate e calda d’inverno: oltre a non doverlo smaltire e a non dover acquistare altre fonti di zuccheri semplici, il siero ci assicura 4 quintali di latte in più al giorno”.

Non meno importante l’impulso dato dal miglioramento del livello genetico, unito all’impiego di programmi gestionali avanzati (su tutti Afifarm, ed Herd-Up di Anafibj). Notevolmente migliorate, infine, le prestazioni riproduttive, che parallelamente hanno via via incrementato la percentuale di rimonta interna: “nel 2024 – osserva ancora il dottor Sola – il P.R. medio annuale è arrivato a un ottimo 26%. Questo soprattutto grazie all’impiego dei tag a collare, che hanno significativamente aumentato il tasso di rilevamento dei calori, e all’impiego del Double Ovsynch in prima fecondazione. Programma che tuttavia, nonostante gli ottimi risultati ottenuti, ci stiamo preparando ad abbandonare”.

Ricambio generazionale
Ma l’altra grande battaglia affrontata dai soci della cooperativa è tuttora in corso sul versante del personale: “il nostro obiettivo – evidenzia Maradei – è prima di tutto trattenere le nuove generazioni su questo meraviglioso, ma difficile e remoto territorio, offrendo loro occupazione e prospettive di crescita economica. Ed è proprio per coinvolgere i nostri figli che nel 2014 abbiamo deciso di scindere le attività della cooperativa in due rami: da un lato la cooperativa agricola Campotenese con le colture e le attività di allevamento, dall’altro la società a responsabilità limitata Agricola Campotenese, che si occupa della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti alimentari attraverso lo spaccio aziendale e le consegne nei negozi e nei ristoranti della regione tramite rete commerciale”. Una soluzione che sta avendo successo, quanto meno a giudicare dalla nutrita presenza dei giovani “di famiglia” in caseificio e nelle attività di vendita. Per il resto a parlare al cuore (e non solo) del cronista, sono loro, le bontà firmate Campotenese. A cominciare da ricotte, fior di latte e caciocavalli, per passare a un ottimo stagionato a pasta dura (“Montedoro”) e per approdare infine ai salumi della gloriosa tradizione locale (qui lo schema è da pianura padana: il siero del caseificio nutre i suini all’ingrasso allevati nella porcilaia della cooperativa). Non manca infine la carne bovina, ottenuta dai vitelli (frisoni x Blu Belga) cresciuti in stalla.


Obiettivi nel mirino
“I nostri obiettivi per il prossimo futuro? Al primo posto – sostiene il presidente di Campotenese – direi mantenere la nostra funzione sociale di volano occupazionale per lo sviluppo socioeconomico del nostro territorio e come argine allo spopolamento e all’emigrazione fuori regione, oltre che consolidare la nostra attuale posizione nel panorama agroalimentare della regione. In seconda battuta, mantenerci aperti ai nuovi sistemi colturali e zootecnici e arrivare alla realizzazione di un impianto di biogas di piccola taglia, alimentato con le deiezioni della stalla e i reflui del caseificio per la produzione di energia pulita da fonti rinnovabili e a favore dell’ecosostenibilità aziendale. Infine vorremmo finalmente allargare il paniere dei nostri prodotti e dei nostri mercati: è giunto il momento di farci conoscere anche fuori regione”. Un traguardo più che legittimo, oltre che meritato.
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