Le nuove frontiere della lotta alla mastite

Se anche i veterinari avessero a disposizione una nuova classe di antibiotici, dopo pochi mesi potrebbero verificarsi delle resistenze che ne vanificherebbero l'efficacia

Salute animale

Le nuove frontiere della lotta alla mastite

La ricerca farmaceutica si sta orientando su batteriofagi, nanoparticelle e inibitori del quorum sensing: vediamo meglio di che si tratta

 

La sfida alla più comune patologia delle vacche da latte continua ad interessare il mondo scientifico; anche in conseguenza delle forti limitazioni all’uso degli antibiotici che la Comunità europea ha posto in essere per contrastare il fenomeno dell’antibiotico resistenza, si stanno studiando soluzioni alternative.

Infatti le industrie farmaceutiche non investono più da diversi anni nella ricerca di nuove molecole di antibiotici (l’ultima scoperta risale di fatto al 1984) in quanto per la registrazione al commercio l’iter è molto lungo ed impegnativo, con un dispendio economico che non sempre viene poi ripagato dai risultati. Ma quello che più sconcerta è che alcuni studi dimostrano che se anche avessimo una nuova classe di queste molecole a disposizione per la terapia, dopo pochi mesi si potrebbero verificare delle resistenze. Quindi capite bene quanto sia importante usare in maniera corretta gli antibiotici a disposizione, sia per contrastare la patologia mammaria che altri tipi di patologie infettive batteriche. La ricerca scientifica, tuttavia, non si fa scoraggiare dagli ostacoli che le si parano davanti; vediamo quindi di curiosare tra le ricerche in atto nel mondo per cercare di trovare delle terapie efficaci alla patologia mammaria della bovina.

 

Terapia fagica

Diverse sono le strategie che si stanno approcciando, una delle maggiormente studiate sono le terapie con i batteriofagi, il cui nome deriva dal greco phagein, che vuol dire mangiare. I batteriofagi o semplicemente fagi, sono dei virus che attaccano le cellule dei batteri, ma non ovviamente quelle dell’individuo. Non è un approccio terapeutico nuovo, infatti i primi studi risalgono all’inizio del ’900, tuttavia oggi le conoscenze sono molto maggiori, soprattutto al riguardo del materiale genetico di questi fagi, per cui si stanno sviluppando molte più terapie in tal senso. I fagi non sono altro che virus che possono replicarsi solamente andando a sostituirsi al materiale genetico contenuto nel nucleo della cellula batterica. Capisco che parlare di virus in un momento come quello attuale, in cui tutti noi abbiamo appena fatto i conti con una pandemia, possa far storcere un po’ il naso. Tuttavia i fagi non sono elementi virali creati dalla ricerca, ne esistono oltre un migliaio differenti tra loro e sono onnipresenti nell’ambiente che ci circonda. Essi sono di dimensioni ridottissime, circa la decima parte dell’Escherichia coli, ed andandosi a sostituire al DNA o RNA del batterio, ne impediscono la sua replicazione, causandone quindi la morte; inoltre, nella cellula batterica che invadono, essi sfruttano la possibilità di replicarsi loro stessi. Alla morte del batterio i fagi verranno liberati e potranno nuovamente agire, su altre cellule batteriche disperse nell’organo o nell’animale in toto.

La sfida dei ricercatori è trovare fagi estremamente specifici per quel determinato batterio che si vuole contrastare, e non a caso la stessa Comunità europea ha finanziato un progetto denominato “Phagoburn”, per la lotta a Coli e Pseudomonas. La terapia fagica è una terapia a bassissimo costo, autolimitante nel senso che se non vi è la presenza del batterio per la quale si è intrapresa la terapia, i fagi non possono replicarsi e quindi degenerano a breve. Questo particolare aspetto fa sì che possano essere usati anche come biosensori, nel senso che se dopo la somministrazione la loro quantità tende ad aumentare, significa che hanno materiale sul quale svilupparsi e quindi stanno agendo efficacemente, mentre se il loro numero diminuisce rapidamente, significa il contrario. Tale caratteristica potrebbe essere facilmente applicata anche alla qualità degli alimenti che vengono usati sia per l’alimentazione sia animale che quella umana, in quanto si potrebbe verificare facilmente la presenza di batteri che contaminano le derrate alimentari.

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I fagi possono essere utilizzati come biosensori: se dopo la loro somministrazione essi tendono ad aumentare, significa anche che ci sono i batteri su cui essi si sviluppano

 

Materiali nanostrutturati

Le nanoparticelle sono di misure veramente microscopiche, tant’è che hanno una dimensione inferiore ai 100 micron metri, e nuove tecnologie ne ridurranno ancora di più le dimensioni. Il vantaggio di queste particelle è che penetrano molto facilmente nelle cellule batteriche.

Le nanoparticelle possono essere distinte in 4 gruppi: metalli, polimeri, composti naturali, materiali nanostrutturati. Queste sostanze possono essere usate per diversi scopi, ad esempio i materiali nanostrutturati possono essere un veicolo delle molecole di antibiotico, e questo fa sì che tali molecole entrino “attive” all’interno della cellula batterica e soprattutto in concentrazioni molto maggiori, senza dispersione inutile di antibiotico nell’organismo. Va da sé che questo processo di “penetrazione facilitata” permetterà di ridurne fortemente i dosaggi e di aumentarne l’efficacia terapeutica sino a un +93%; non da ultimo un loro utilizzo consentirà la riduzione drastica dei tempi di sospensione, sia per il latte che per la carne.

 

Nanoparticelle tal quali

Ma le nanoparticelle possono essere usate anche tal quale, nel senso che quelle ottenute con metalli possono sviluppare ossigeno, creando un’ossidazione della parete cellulare batterica e dei lipidi che la compongono, portando i batteri a rapida degradazione. Altre nanotecnologie sono state studiate per far sì che possano degradare il Dna batterico, dove sono codificati i meccanismi patogenetici che il batterio mette in atto per poter invadere l’ospite. Altre ancora agiscono andando a bloccare il metabolismo energetico del batterio, quindi qualsiasi processo di replicazione o metabolico che il batterio possa sviluppare.
Altre nanoparticelle dette Zn-O hanno un’importante funzione di stimolare il sistema immunitario della bovina, aumentandone così le capacità di autodifesa nei confronti di eventuali invasioni batteriche nell’organismo.

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Alcune nanoparticelle possono anche essere impiegate tal quale, ovvero per portare le cellule batteriche a rapido disfacimento

 

Prevenzione genetica

La genetica sta facendo la sua parte nel cercare di selezionare bovine che abbiano una maggior resistenza alle infezioni, ed in particolare una minor predisposizione alle mastopatie. Purtroppo essendo la mastite una patologia polifattoriale, non sarà facile avere dei dati nel breve periodo.
Tuttavia con l’analisi genomica delle vitelle che è iniziato tempo fa, iniziano ad essere inseriti i primi dati riferiti alle bovine che hanno partorito, e qualche risultato si prospetta all’orizzonte. La genotipizzazione delle vitelle è un punto di partenza che va ad aggiungersi a quelle che potranno essere altre soluzioni proposte sia per la terapia che per la prevenzione di tale patologia.

 

Inibitori del quorum-sensing

Per esercitare nel miglior modo la loro capacità di invasione dei tessuti, i batteri sfruttano un sistema di comunicazione che fa capo ad una sostanza detta AHL (Acylated Homoserin Lactone). Questa sostanza chimica permette loro di tracciare una strategia di invasione, di difendersi da attacchi del sistema immunitario e di creare all’occorrenza un composto detto biofilm, nel quale rimanere allo stato quiescente, per poi riattivarsi quando la bovina è in condizioni di stress o il suo sistema immunitario è particolarmente sollecitato, e quindi non può far fronte a tutte le esigenze del caso.

I ricercatori, che da tempo conoscono ormai questo meccanismo, hanno pensato di trovare sostanze che vadano a interferire su questo meccanismo di comunicazione, in modo da “disorientare” i batteri e da renderli più vulnerabili alle terapie convenzionali. Diversi sono i composti studiati e di comprovata efficacia, tuttavia sono ancora necessarie ulteriori sperimentazioni per passare dagli studi di laboratorio alla fase clinica di campo.

 

Avanti tutta

Come si può notare, anche se negli allevamenti la situazione può apparire statica o addirittura peggiorativa per le limitazioni all’uso degli antibiotici che sono state fissate dalle normative, il mondo della ricerca continua il suo lavoro nonostante la difficoltà a reperire finanziamenti adeguati e per periodi di tempo consoni ad affrontare concretamente le mastopatie.

 

A cura di Pierangelo Cattaneo - Medico Veterinario