Che ne sarà della Blue tongue?

Il BTV-8 attualmente presente nel nord Italia potrebbe essersi diffuso a partire da bovini serbatoi arrivati dalla Francia oppure dalla Sardegna

Salute animale

Che ne sarà della Blue tongue?

A partire dallo scorso mese di luglio, l’Italia peninsulare è stata travolta da un’epidemia sostenuta dal sierotipo 8 del virus, in seguito alla quale diverse migliaia di allevamenti sono stati colpiti o messi in “lock down”. Cosa succederà nei mesi a venire? Lo abbiamo chiesto al dottor Giovanni Savini, direttore del Centro di referenza nazionale per questa malattia

 

Per raccontare la genesi dell’epidemia da sierotipo 8 del virus Blue tongue, attualmente in corso in quasi tutta l’Italia peninsulare oltre che in quella insulare, occorre fare un passo indietro allo scorso luglio, quando a brevissima distanza di tempo sono stati segnalati i primi focolai di malattia (parliamo di pecore) in provincia di Torino, Lecco, Crotone e Siracusa. Tutti territori, quindi, molto distanti tra loro, al punto che gli esperti del Centro di referenza italiano e del Woah (Organizzazione mondiale di sanità animale) per la Blue tongue di Teramo, dopo aver rigettato l’ipotesi di un coinvolgimento di insetti vettori infetti, che sono soliti agire per “contiguità territoriale”, hanno ritenuto più probabile ricondurre questi primi focolai alla movimentazione di animali viremici. In primo luogo bovini, che essendo ospiti di regola asintomatici del virus, ma con una viremia di lunga durata (fino a 60 giorni), potrebbero essere stati gli “untori”.

“All’epoca – rimarca subito il direttore del Centro, Giovanni Savini – l’Italia peninsulare era già in restrizione per i sierotipi 1 e 4, entrambi a ridotta virulenza, ma non per il sierotipo 8 e gli animali potevano essere movimentati liberamente, poiché il territorio era considerato epidemiologicamente omogeneo. Il sierotipo BTV-8 è probabilmente entrato nel nostro Paese tramite la movimentazione di bovini infetti provenienti da aree in cui era già stata segnalata la circolazione del virus, come la Francia e la Sardegna, dove nel 2023 sono stati registrati casi di BTV-8”.

 

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Giovanni Savini è direttore del Centro di referenza italiano e del Woah (Organizzazione mondiale di sanità animale) per la Blue tongue, che ha sede a Teramo, presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise

 

Origine indeterminata

Quanto alla provenienza degli “untori”, continua Savini, non ci sono certezze: “Uno dei metodi per individuare l’origine di un’epidemia – spiega infatti Savini – consiste nella caratterizzazione del genoma del virus responsabile. Il BTV-8 del nord Italia è stato sequenziato e le sue sequenze sono state confrontate con quelle dei ceppi francese e sardo. I genomi risultano essere molto simili tra loro, rendendo così difficile determinare se il BTV-8 del Nord Italia abbia avuto origine dalla Francia o dalla Sardegna”.

Quello che è assolutamente certo è che da luglio a oggi, a partire dai già citati focolai di Torino, Lecco, Crotone e Siracusa, l’epidemia di Blue tongue da sierotipo 8 si è diffusa a macchia d’olio. Complici naturalmente i già citati insetti vettori del virus, ovvero i moscerini ematofagi del genere Culicoides, che una volta infettati rimangono infettanti a vita e che quindi, insieme agli animali viremici, propagano il virus Blue tongue. E qui l’affare si complica, perché l’Italia è lunga ed è terreno di coltura di diverse specie di Culicoides, che Madre Natura ha provvisto di caratteristiche e abitudini quanto mai eterogenee.

 

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Nel nord Italia a diffondere la malattia sono le femmine di Culicoides complesso obsoletus

 

Variabili in gioco

Infatti, mentre in Sardegna e nelle diverse aree meridionali prevale Culicoides imicola, che prolifera in siti fangosi creati da ristagni d’acqua, ha attività notturna, si mantiene all’esterno dei ricoveri, ama il caldo e ha scarsa resistenza al freddo, nel resto d’Italia (e d’Europa) prevalgono i Culicoides appartenenti al complesso obsoletus, che invece sono soliti riprodursi nelle aree boschive, penetrano all’interno delle stalle, temono il clima caldo-secco, ma sono piuttosto resistenti alle basse temperature. Che ne sarà, dunque, dell’epidemia in pianura padana, culla della nostra zootecnia bovina, nelle settimane e nei mesi a venire?

“Le variabili in gioco – premette Savini – sono molteplici. Innanzitutto c’è l’incognita climatica: solitamente, nel nord Italia la circolazione dell’insetto vettore cessa da metà dicembre a febbraio, o da metà dicembre a marzo per alcune province montane come Sondrio o Bolzano. L’attività dei Culicoides del complesso obsoletus tende a calare col freddo, ma riprende al minimo rialzo termico, come negli ultimi anni è capitato tra dicembre e gennaio”.
Uno degli scenari possibili – suggerisce il nostro interlocutore – è che con l’arrivo dell’inverno entriamo in un periodo di “silenzio clinico”, in cui il virus Blue tongue di sierotipo 8 continua a circolare, ma non si manifesta attraverso focolai di malattia. “E tutto ciò gli è possibile in due modi: o grazie a quei vettori che, proprio come i Culicoides del complesso obsoletus, hanno la capacità di riprendere a volare al minimo rialzo termico, oppure grazie agli animali-serbatoio, cioè ai bovini. Per cui un’altra variabile in gioco è il rispetto delle regole sulla movimentazione da parte degli allevatori, e in particolare dei bovinicoltori”.

 

Occhio al sierotipo 3

Ma in ballo c’è anche il tema della vaccinazione: “i moderni vaccini spenti adiuvati – spiega il direttore – sono lo strumento migliore e più efficace per contrastare il virus della Blue tongue. La vaccinazione, infatti, può avere tre obiettivi: primo, proteggere gli animali dai sintomi clinici. Nel caso del BTV-8 questo aspetto riguarda in particolare gli ovinicoltori, ma nel caso, ad esempio, del ceppo europeo del sierotipo 3 anche i bovinicoltori”. A questo proposito, occorre sapere che a inizio ottobre in Francia, Svizzera e Austria c’erano all’attivo diversi focolai di un ceppo particolarmente virulento di BTV di sierotipo 3 (sono di questi giorni di fine ottobre le conferme delle prime positività in Trentino e nel Cremonese: ndR). Un ceppo che, a differenza di quello circolante in Sardegna, è ad alta virulenza e provoca pesanti manifestazioni cliniche anche nel bovino. "Per questo motivo – sottolinea Giovanni Savini – riteniamo che in via cautelativa sarebbe utile proteggere i nostri bovini, vaccinandoli anche contro il sierotipo 3”.
Il secondo obiettivo è la libertà di movimentazione: agli allevatori di vacche da latte che nelle prossime settimane vogliono movimentare il loro bestiame da vita, suggeriamo di vaccinare per il sierotipo 8 e per il sierotipo 4, che nell’Italia peninsulare continua a circolare. Il sierotipo 1 può essere tralasciato, perché in assenza di recenti sieroconversioni, riteniamo che nel nord Italia non circoli più”. 
Il terzo obiettivo della vaccinazione, prosegue Savini, è limitare la circolazione virale: “le ricerche scientifiche condotte a questo proposito dimostrano che il bovino vaccinato resta viremico per periodi molto più brevi rispetto al bovino non vaccinato, per cui si può dire che l’immunizzazione comporti una riduzione delle capacità infettanti. Ma affinchè in un territorio la circolazione virale venga effettivamente abbattuta, è necessario vaccinare un’ampia fetta della popolazione bovina. Non a caso, ai Paesi che intendono eradicare la Blue tongue, l’Unione europea chiede che venga vaccinato il 95% dei ruminanti domestici suscettibili all’infezione…”.

 

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Il bovino è considerato serbatoio del virus BT in quanto ospite solitamente asintomatico e con una viremia di lunga durata (fino a 60 giorni)

 

Il nodo della disponibilità

Per quanto riguarda, infine, la disponibilità dei vaccini, si può dire che al momento in cui va in stampa questo numero di “Allevatori Top”, molte Regioni del nord Italia, in coordinamento con il Ministero della salute, si sono attivate per presentare i loro ordini alle ditte produttrici. “Ma occorre considerare – avverte Savini – che per produrre e consegnare i vaccini, alle aziende farmaceutiche sono necessari 3-4 mesi di tempo”. Quanto ai repellenti “pour on” attivi nei confronti dei Culicoides, negli scorsi mesi l’elevata domanda proveniente da mezza Europa ne aveva decretato l’esaurimento delle scorte. Ma non è escluso che ci sia a breve una svolta. Sempre che l’arrivo dell’inverno non dia una mano a tarpare le ali ai Culicoides…