Silomais, gestire il desilamento per mantenere alta la qualità

Gestione mandria

Silomais, gestire il desilamento per mantenere alta la qualità

Osservare alcuni semplici accorgimenti durante il prelievo consente di mantenere inalterate nel tempo le proprietà nutrizionali di questo alimento

 

La corretta esecuzione delle operazioni agromeccaniche per l’insilamento è il presupposto per avere un silomais di elevata qualità al momento del suo utilizzo. L’attenzione non si esaurisce, tuttavia, dopo la chiusura del silo, ma deve proseguire anche in fase di consumo con un corretto desilamento. Per comprendere l’effettiva importanza di questa pratica è utile ripercorrere quanto accade nelle fasi biochimiche antecedenti all’apertura della trincea.

 

Fase aerobica

La prima delle tre fasi biochimiche è la respirazione che inizia subito dopo la trinciatura del foraggio e prosegue, dopo la chiusura della trincea, per un periodo variabile tra le 24 ore e i 2-3 giorni, arrivando fino a 4-5 giorni; essa può tuttavia protrarsi se la massa del foraggio non è stata ben compattata e se la trincea non è stata chiusa rapidamente. In questa fase, i batteri aerobi utilizzano l’ossigeno presente nella biomassa e ossidano gli zuccheri producendo anidride carbonica, alcol e calore. Se grazie al consumo dell’ossigeno la respirazione è favorevole all’instaurarsi della successiva fase anaerobica, però, essa causa una perdita di principi nutritivi proporzionale all’entità dei processi ossidativi, i quali sono associati a un innalzamento della temperatura dell’insilato. Quindi, l’obiettivo consiste nell’abbreviare il più possibile la durata della respirazione. 

 

Fase fermentativa 

Successivamente al rapido consumo dell’ossigeno generato dai processi respiratori cellulari si creano le condizioni ottimali per lo sviluppo e l’attività dei microrganismi anaerobi. Si instaura la fase fermentativa, che dura da 1 a 3 settimane, in relazione al tenore in sostanza secca, in zuccheri e alla lunghezza di trinciatura del foraggio e durante la quale gli zuccheri solubili, presenti nella biomassa, vengono velocemente fermentati dai batteri omolattici, eterolattici obbligati e facoltativi presenti al momento della raccolta sulla pianta, insieme ai lieviti e ai funghi (la tipologia e la quantità di tutti questi microrganismi dipende dal clima, ma soprattutto dallo stadio di maturazione della coltura) con prevalente produzione di acido lattico. Si verifica quindi un repentino abbassamento del pH a 3,5-4: le fermentazioni operate dai lattobacilli si bloccano; si verifica un calo progressivo della carica microbica e della temperatura della massa, e inoltre il basso valore di pH inibisce, entro pochi giorni (1-3), la microflora batterica concorrente dei batteri lattici, cioè gli enterobatteri e i clostridi (in particolare, il Clostridium tyrobutyricum). 
A differenza degli enterobatteri, però, i clostridi crescono ad acidità elevata e sono anaerobi obbligati; sopravvivono ad elevate temperature e, attraverso le spore, resistono agli acidi organici e a quelli digestivi dei bovini arrivando ad inquinare il latte con esiti negativi sulla caseificazione e la qualità del formaggio; queste peculiarità dei clostridi rendono difficile il loro controllo.
Per questo motivo è importante prestare attenzione al tenore in umidità della pianta al momento della trinciatura: l’insilamento di un foraggio ad elevata umidità (>70%) e povero di zuccheri necessita di una fase fermentativa a pH più basso per prevenire la proliferazione clostridica. Un’elevata contaminazione della massa da clostridi causa perdite di sostanza secca superiori al 50% ed energetiche pari al 18%. Tuttavia, l’effetto peggiore consiste in un incremento del pH e nel conseguente sviluppo di batteri proteolitici (anch’essi clostridi) che degradano le proteine del foraggio producendo ammoniaca e amine tossiche. Sostanze che, oltre a diminuire l’appetibilità del silomais, influiscono negativamente sulla salute e sulle performance degli animali.

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Ogni prelievo dalla trincea deve garantire un silomais di costante ed elevata qualità (foto per cortesia Pizzardo) 

 

Stabilizzazione anaerobica

Inoltre, se la massa non è stata adeguatamente compressa, l’abbassamento del pH indotto dalla fermentazione lattica non è né rapido né sufficiente e, associato alla presenza di ossigeno residuo, favorisce la crescita di lieviti, funghi del genere Fusarium e batteri (tra i quali la Listeria, veicolata con la terra, e i batteri butirrici) nell’arco dei successivi 10-15 giorni. Tali microrganismi utilizzano i prodotti delle fermentazioni e gli zuccheri rimasti, producendo anidride carbonica, calore e acqua (gli insilati molto umidi sono soggetti a fenomeni di percolamento che interessano gli strati basali della massa). La progressiva riduzione della concentrazione dei prodotti di fermentazione provoca un ulteriore innalzamento del pH oltre il valore di 4,5 che a sua volta favorisce lo sviluppo di una vasta gamma di microrganismi aerobi la cui attività, interessando le componenti più digeribili dell’insilato, genera una perdita di valore nutritivo e un surriscaldamento del prodotto, accompagnato dalla sintesi di anidride carbonica e amine tossiche. 
La fase finale è quella di stabilizzazione aerobica; essa non dovrebbe durare più di 30 giorni e se non si verificano infiltrazioni di aria atmosferica, la massa insilata rimane stabile anche per più di un anno; sembra che durante questo periodo il prodotto subisca una lenta e progressiva maturazione che migliora la digeribilità dell’amido (grafico 1). Tuttavia, la presenza di minime infiltrazioni di aria, localizzate nelle aree più soggette, possono innescare lo sviluppo dei lieviti che svolgono un ruolo negativo all’apertura della trincea. 

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Grafico 1 - Andamento della degradabilità ruminale dell’amido nell’insilato di mais in relazione ai mesi di insilamento (fonte: Newbold et al., 2006)

 

Momento clou

È bene non aprire la trincea prima di 40-60 giorni (secondo alcuni autori è meglio dopo 3-4 mesi) ed è utile, al momento, effettuare un carotaggio, cioè un prelievo di campioni di prodotto a 40-50 cm di profondità della massa, per valutare il profilo fermentativo dell’insilato. Inoltre, bisogna verificare che la massa non sia calda né in superficie né in profondità (tabella 1): l’elevata temperatura è indice della presenza di processi ossidativi. L’apertura della trincea coincide con la fase di consumo e, purtroppo, causa l’ingresso di aria: il desilamento, esponendo nuovamente il prodotto a contatto con l’ossigeno, innesca l’attività dei microrganismi aerobi arrecando perdite di valore nutritivo. In particolare, consumando l’ossigeno, i lieviti degradano l’acido lattico ad anidride carbonica e acqua con un innalzamento del pH che favorisce le muffe e i clostridi. L’assenza di ossigeno e di acidi organici stimola la proliferazione clostridica la quale interessa, inizialmente, solo le aree più esposte al contatto con l’aria (superficie superiore e angoli) per poi propagarsi all’interno della massa. I lieviti sono, perciò, i principali responsabili del deterioramento aerobico che compromette la stabilità del prodotto limitandola a un periodo compreso tra una settimana e poche ore. 

 

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Che fare?

In fase di desilamento, per prevenire questi effetti dannosi mantenendo inalterata la qualità del silomais, è consigliabile:
1) asportare preventivamente e scartare tutte le porzioni deteriorate della massa (non somministrarle alle manze!) ricordando che la contaminazione interessa uno strato di foraggio ben più profondo (circa 30-50 cm) oltre a quello visibilmente alterato;
2) erodere giornalmente dalla trincea solo la quantità di prodotto necessaria (rinnovando il fronte ogni 3-4 giorni, si somministra agli animali un insilato dalle caratteristiche microbiologiche e nutrizionali alterate) e, comunque, pari ad un avanzamento minimo del fronte di taglio di almeno 15 cm/giorno o 105 cm/settimana in inverno e 23-25 cm/giorno o 160 cm settimanali in estate; più la temperatura ambientale è elevata e maggiore deve essere la velocità di avanzamento. Per misurare l’effettiva quantità asportata giornalmente, è possibile tracciare una riga verticale sulla parete della trincea in corrispondenza della linea ottimale del fronte e, dopo 7 giorni, misurare la distanza con il nuovo fronte. Desilare ad una velocità inferiore a quella indicata espone l’insilato ad un rischio più elevato di deterioramento aerobico e di contaminazione della massa. Un punto importante è rappresentato dalle dimensioni della trincea: la larghezza deve essere commisurata al numero di capi allevati. Ovviamente, un silo stretto e lungo consente di mantenere una maggiore velocità di avanzamento a differenza di una trincea molto larga, dove il desilamento è più lento. In quest’ultimo caso, per ovviare al problema, è possibile ridurre la larghezza della trincea inserendo una parete che, di fatto, permette di ottenere due trincee più strette. Inoltre, bisogna prestare attenzione all’eventuale presenza di fessurazioni nelle pareti e di lacerazioni sul telo che le riveste perché queste costituiscono i punti attraverso i quali si verificano le infiltrazioni di aria esterna e possono diventare un ricettacolo di foraggio contaminato. Al termine del prelievo non si devono lasciare cumuli di silomais a terra con il proposito di utilizzarli per preparare la miscelata del giorno dopo;
3) eseguire un taglio netto, uniforme e verticale impiegando apposite frese desilatrici semoventi o incorporate sul carro miscelatore. È assolutamente da evitare l’asportazione manuale del foraggio o attraverso l’ausilio di benne che disgregano la massa foraggera lasciando un fronte irregolare e disomogeneo;
4) conservare il più a lungo possibile lo stato di anaerobiosi della massa insilata verificando periodicamente l’integrità delle pareti e dei teli e mantenendo una copertura e un appesantimento ottimali anche durante la fase di consumo. 
Dopo ogni prelievo è consigliabile riposizionare il telo di copertura per richiudere, almeno in parte, il silo ed evitare sia l’effetto dilavante provocato dalla pioggia, che diminuisce la sostanza secca effettiva, sia per impedire il contatto diretto con i raggi solari che, riscaldando la massa, accelerano i processi post-fermentativi. Il riposizionamento del telo serve infine a proteggere l’alimento dalla neve e dalle gelate. In alternativa, il fronte di taglio può essere protetto da una tettoia mobile che segue l’entità dell’avanzamento giornaliero.

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Le fermentazioni indesiderate riducono l’appetibilità del silomais e della razione che lo include (foto Mattia Olivari)

 

Lavorare bene

La gestione del silomais richiede costantemente competenza e attenzione, qualità indispensabili per valorizzare il proprio prodotto ed evitare errori di razionamento per conseguire risultati positivi in termini di salute e performance degli animali. Condizioni, queste, predisponenti a una remunerativa attività di allevamento. 

di Mattia Olivari - Tecnico allevamenti bovini, Bergamo