Grana Padano: andante con brio, nonostante tutto

Gli Usa rappresentano ancora oggi uno dei principali sbocchi di mercato della Dop

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Grana Padano: andante con brio, nonostante tutto

Renato Zaghini, nuovo presidente del Consorzio di tutela, è un cooperatore di lungo corso che crede nel ruolo della Dop come elemento di stabilità del mercato

Renato Zaghini è persona concreta. La sua lunga strada per arrivare alla presidenza del Consorzio di tutela del Grana Padano è iniziata prima in stalla da ragazzo, poi al Caseificio Europeo di Bagnolo San Vito (Mn), che guida dal 1998. Nel 2003 diventa tesoriere del Consorzio per poi prenderne le redini qualche mese fa. Da giovane avrebbe voluto fare il portiere di calcio e, a quanto pare, era anche piuttosto bravo, visto che è riuscì ad entrare nella giovanile del Mantova. Gli sarebbe anche piaciuto studiare da veterinario, ma la prematura morte del padre lo ha costretto a cambiare progetti e ad entrare ben presto nel mondo del Grana Padano.

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Renato Zaghini, Presidente del Consorzio di tutela del Grana Padano: un futuro (mancato) da calciatore, compensato da una grande passione per il mondo del Grana Padano

Presidente, al termine di quest’anno funesto come chiude il 2020 il Grana Padano?
“È stato un anno pesante per tutti e in molte famiglie, compresa la mia, il Covid ha purtroppo lasciato un segno pesante. Dal punto di vista del Consorzio devo fortunatamente dire che il consumatore ha continuato a darci fiducia, compensando in parte le perdite legate alle dinamiche dell’Horeca. Il nostro è allo stesso tempo un prodotto di eccellenza, ma è anche un formaggio “nazional-popolare” e i volumi generati da ristoranti, mense e bar sono calati pesantemente. Le famiglie e la grande distribuzione hanno invece avuto un trend vivace e positivo, sia sotto il profilo dei volumi che dei prezzi, pur restando in un contesto non facile a livello economico”.

La riduzione nella produzione che il Consorzio ha deciso pochi mesi fa quindi sarà un ulteriore elemento di tenuta?
“È stata una decisione cautelativa, presa in un momento di particolare incertezza per tutelare tutta la filiera. Penso comunque che, viste le dinamiche del secondo semestre, non scenderemo sotto i 5 milioni di forme, ripartendo in due anni il taglio produttivo che abbiamo definito come Consorzio. Abbiamo una grande responsabilità sul fronte del mercato del latte, anche perché diventa Grana Padano il 50% del latte che potenzialmente potrebbe essere trasformato nella nostra Dop e quindi dobbiamo tenere sempre ben presenti i consumi prima di allargare i volumi prodotti”.

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Patrizio Roversi in versione gastromotociclista in sella ad una Moto Guzzi. È lui l’animatore di una serie televisiva in onda in queste settimane in cui il Grana Padano è il vero protagonista

E sul fronte estero? Sulle esportazioni ha pesato più il Covid o i dazi imposti da Trump all’Unione Europea?
“Il mercato statunitense ha tenuto e ha superato le criticità che entrambi i fattori hanno causato. Per quanto riguarda i dazi, c’è stata una grande corsa agli acquisti da parte degli importatori americani prima dell’inizio della guerra commerciale. Ma soprattutto il consumatore d’Oltreoceano ha dimostrato fedeltà al Grana Padano. Il vero problema? I falsi Grana Padano prodotti negli Usa, sui quali non abbiamo la possibilità di intervenire a causa della mancanza legale della tutela e che rappresentano il 66% delle vendite. Devo anche dire che molte soddisfazioni sono venute anche dai mercati europei, Germania in primis, dove invece il diritto tutela la nostra Dop. Ma sono ottimista anche per mercati lontani come il Giappone e il Vietnam, che anche in termini di volume promettono molto bene”.

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Le lunghe stagionature saranno il nuovo orizzonte del Grana Padano? Il consumatore sembra apprezzarle

Nelle sue politiche commerciali, il Consorzio ha sempre privilegiato l’aumento dei consumi, senza introdurre, come invece ha fatto il Parmigiano Reggiano, politiche di ritiro del prodotto dal mercato per sostenere il prezzo. Una politica che è ancora efficace?
“I presupposti sono diversi. Grana Padano significa 5.12 milioni di forme prodotte, contro i 3.75 milioni del Parmigiano Reggiano; oltre a ciò, più del 50% del nostro formaggio viene venduto attorno ai 16 mesi. Quindi siamo di fronte a due grandi Dop, ma con profili di consumo e di prezzo differenti. Sarebbe difficile per il nostro Consorzio non avere l’aumento dei consumi come primo punto della sua attività, né pagherebbe una politica che voglia mantenere sostenuti i prezzi ritirando dal mercato il prodotto. Stiamo comunque promuovendo il segmento del Grana Padano Riserva, vale a dire oltre i 24 mesi di stagionatura, una tipologia che è molto apprezzata, ma che è difficile garantire al consumatore per la scarsità di prodotto da avviare alle lunghe stagionature. Sono mondi diversi”.

Anche sul fronte della titolarità delle quote produttive Grana Padano e Parmigiano Reggiano restano due mondi molto lontani fra di loro. Nel Consorzio che presiede, la titolarità è del caseificio, mentre a casa dei cugini sono gli allevatori i titolari. Un sistema che potrebbe essere rimesso in discussione?
“Non penso, anche perché è stata una decisione sofferta quanto ben ponderata. In questo modo, legando la titolarità ai trasformatori, trasformiamo la quota in un bene di tutto il territorio in cui si produce Grana Padano, con un positivo impatto sul mercato del latte e con un importante effetto per la stabilità del mondo cooperativo. Non penso, come qualcuno sostiene, che se la titolarità fosse degli allevatori il prezzo del latte sarebbe più alto. Inoltre mentre nel sistema Parmigiano Reggiano quasi il 100% del latte di zona Dop idoneo a Parmigiano Reggiano è trasformato in tale destinazione e quindi di fatto non c’è turn over nell’elenco delle stalle certificate a Parmigiano Reggiano, da noi, invece, circa il 50% del latte della zona Dop va a Grana Padano ma l’altro 50% è diversamente destinato. Se allora, nel 2006, avessimo assegnato le quote agli allevatori che in quei mesi conferivano latte a Grana Padano, avremmo discriminato illegittimamente il restante 50% agli allevatori del comprensorio che in quel momento non destinavano a Grana Padano il loro latte. Così non si poteva certo fare, infatti così non è stato e questo è il principale motivo di un significativo turn over annuale delle stalle certificate a Grana Padano. Il nostro è un sistema molto elastico e aperto. Ed è pure un motivo fondamentale per cui il valore del Grana Padano quasi sempre trascina al rialzo il prezzo di tutto il latte, anche quello inviato ad altre destinazioni”.

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Nel 2020 la produzione di Grana Padano dovrebbe attestarsi poco sopra ai 5 milioni di forme

Da allevatore come giudica l’ultimo prezzo del latte sottoscritto fra Italatte e Coldiretti?
“Sotto il profilo economico forse sarà stato anche un azzardo. Detto ciò, il settore aveva e ha la necessità di avere dei punti fermi, specialmente in un momento storico in cui l’accordo interprofessionale non esiste più. Mi piacerebbe anche, però, che chi critica questo prezzo lavorasse maggiormente per organizzare l’offerta delle stalle che conferiscono il loro latte all’industria, in modo che offerta e domanda possano trovare un andamento sinergico. L’importante è che non si arrivi mai ad un punto in cui il latte resta nelle cisterne senza essere ritirato. Questo è il vero pericolo da scongiurare, una situazione che in alcuni momenti si è verificata e che è stata sanata grazie all’intervento del movimento cooperativo. Trovo anche perfettibile il meccanismo di legare il prezzo all’andamento del Grana Padano, perché chi ha una presenza forte sul mercato anche nel mondo del formaggio potrebbe in qualche modo intervenire sugli equilibri”.

I fondi di investimento stanno guardando con estremo interesse all’industria di trasformazione italiana, e alcuni attori della scena finanziaria stanno rastrellando capitali facendo palesare l’opportunità di un rendimento del 10% su base decennale. Lo vede come un rischio o un’opportunità per il Grana Padano?
“Tema delicato, perché riguarda il nostro futuro e soprattutto perché la questione non è solo teorica e potrebbe avere un impatto reale anche nel nostro mondo. Se l’investimento viene fatto sulla fase produttiva della filiera, lo vedo come un elemento di preoccupazione perché chi entra, lo fa al 51% e dopo vuole comandare, magari cambiando le regole a proprio favore e non necessariamente a favore del prodotto. Se invece l’investimento riguardasse la commercializzazione e se l’ingresso di nuovi protagonisti fosse un modo per creare sinergie e aprire nuovi scenari commerciali, sarei invece favorevole. Ma prima di pensare ai fondi dobbiamo concentrarci sulla lotta al falso Grana Padano e ai prodotti simili prodotti da aziende che fanno parte del Consorzio e che sono andate all’estero a produrre un formaggio analogo al nostro. Questo è un fronte molto più caldo sul quale come Presidente del Consorzio vorrei concentrare la nostra attenzione, perché la trasparenza nei confronti del consumatore è il primo bene che dobbiamo preservare. E soprattutto perché la competizione fra gli attori della filiera Dop deve essere giocata con gli stessi strumenti, senza scorciatoie”.