Fake Parmigiano Reggiano alla fiera Anuga di Colonia

L’edizione 2025 di Anuga, la più importante manifestazione fieristica al mondo dedicata al food & beverage, segna un nuovo intervento del Consorzio del Parmigiano Reggiano a tutela della Dop italiana contro la presenza di falso Parmigiano Reggiano. In particolare il Consorzio ha individuato casi di uso illecito di nomi evocativi della Dop: grazie a un Regolamento di protezione delle Indicazioni Geografiche e ad alcune sentenze della Corte di Giustizia, all’interno dell’Ue, prodotti non conformi al disciplinare della Dop “Parmigiano Reggiano” che recano nomi riferibili alla Dop stessa non possono essere commercializzati.
 Ricordiamo la sentenza ottenuta dalla Commissione e dal Consorzio nel  2008 quando venne sancito che il termine “Parmesan” non è generico ma dev’essere considerato un’evocazione della denominazione “Parmigiano Reggiano” e pertanto non può essere utilizzato per formaggi non conformi al disciplinare. Il Consorzio stima che il giro d’affari del falso Parmesan fuori dall’Unione Europea sia di oltre 2 miliardi di euro, circa 200.000 tonnellate di prodotto, ossia tre volte il volume del Parmigiano Reggiano esportato.

In occasione della fiera di quest’anno il Consorzio ha individuato e segnalato una salsa denominata “Garlic Parmesan Flavored Sauce”, nella quale il termine “Parmesan” designerebbe un ingrediente non conforme al disciplinare della Dop. L’autorità tedesca ha agito tempestivamente per far rimuovere il prodotto. Inoltre, il Consorzio ha rinvenuto un prodotto di origine vegetale, presentato come sostituto del formaggio, dal nome “ParVegano”, anch’esso ritenuto evocativo: in questo caso, il Consorzio si è mosso tramite i propri legali ottenendo la rimozione nel giro di poche ore.

“In Europa il sistema di tutela delle Indicazioni Geografiche raggiunge livelli di efficacia ancora lontani in molte altre aree del mondo – ha dichiarato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio del Formaggio  Parmigiano Reggiano. Per questo l’UE sta cercando di colmare il divario attraverso accordi specifici di libero scambio. Fuori dall’Unione, infatti, l’utilizzo ingannevole della nostra denominazione è frequente, con conseguenze negative non solo per le nostre esportazioni, ma soprattutto per il consumatore, che crede di acquistare un prodotto autentico e viene invece ingannato. Questo nuovo episodio di violazione all’interno del territorio dell’Unione dimostra che è tempo di un deciso salto di qualità: servono regole comuni per gli enti fieristici europei, in modo da garantire eventi realmente “fake free” ed evitare costosi e inutili interventi successivi da parte dei consorzi e dei tribunali”.

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