Mastiti e uso responsabile del farmaco

L’uso prudente dell’antibiotico nelle stalle del comprensorio contribuirà a rinforzare la reputazione del formaggio

Salute animale

Mastiti e uso responsabile del farmaco

Il Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano punta all’introduzione dell’asciutta selettiva e della terapia mirata delle forme cliniche nelle 2.600 stalle del Comprensorio

Oggi, attraverso il suo quotidiano comportamento in stalla, l’allevatore può incidere sul prezzo del latte. Ne è convinto, per quanto riguarda le nostre produzioni Dop, il responsabile del Servizio produzione primaria del Consorzio di tutela del formaggio Parmigiano Reggiano, Marco Nocetti. “Da qualche anno – ci spiega – il mercato è cambiato, al nostro Consorzio giungono quotidianamente domande da parte dei consumatori finali, ma soprattutto dei buyer italiani e stranieri del nostro formaggio, relative alla nostra policy sul rispetto del benessere animale e sull’uso del farmaco in allevamento. Quindi oggi il nostro formaggio non deve essere soltanto buono e nutriente, ma anche il frutto di allevamenti sostenibili. E la sostenibilità è la chiave di volta per mantenere alta la reputazione che il prodotto ha saputo guadagnarsi grazie alle sue peculiari caratteristiche, e che a sua volta è fondamentale per mantenere su valori elevati il prezzo del latte alla stalla”.

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Marco Nocetti, medico veterinario e responsabile del Servizio produzioni primarie del Consorzio di tutela del formaggio Parmigiano Reggiano
 

Uno sforzo necessario

Il Consorzio del Parmigiano Reggiano vuole dunque fare un passo avanti rispetto ai già consolidati monitoraggi sulla qualità del latte che arriva in caseificio, e ai piani di autocontrollo aziendali. Ecco perché da due anni a questa parte è attivo un Servizio ad hoc, costituito da 7 veterinari, deputato proprio a monitorare e a migliorare le condizioni di benessere animale, nonché a promuovere un uso corretto del farmaco nelle 2.600 stalle del comprensorio. “Proprio in questi giorni – continua Marco Nocetti – stiamo concludendo le valutazioni sul benessere animale, e d’ora in avanti il nostro focus sarà anche sull’uso degli antibiotici in stalla. Con una premessa importante: quello delle antibiotico-resistenze batteriche è un serio problema di sanità pubblica, che richiede uno sforzo da parte di tutti, anche degli allevatori e anche degli allevatori di vacche da latte.
È vero che buona parte delle responsabilità ricadono sugli usi inappropriati che venivano fatti in medicina umana, e in subordine nella medicina degli animali d’affezione: oggi, nella nostra società, cani e gatti vivono a stretto contatto con i loro padroni e hanno molteplici opportunità di trasmettere loro i ceppi resistenti. Ma sebbene molto sia già stato fatto, anche il comparto zootecnico deve fare la sua parte, e tanto di più laddove è maggiore l’uso di antibiotico. Devono quindi contribuire in primis le filiere avicole e suinicole, poi il settore bovino da carne, e infine anche la zootecnia da latte. Un ambito in cui il ricorso agli antibiotici è quantitativamente molto inferiore alle altre tipologie di allevamento, come testimonia anche il recente rapporto Esvac. Ciò detto, anche noi dobbiamo dare un contributo alla lotta contro le antibiotico-resistenze e a ridurre l’impiego dei Cia, gli antibiotici di importanza critica in medicina umana. Che sono essenzialmente le cefalosporine di terza e quarta generazione e i macrolidi”.
 

Asciutta selettiva

“Dal punto di vista tecnico – prosegue il nostro interlocutore – gli obiettivi a cui tendere e gli interventi da realizzare ci vengono suggeriti dalla normativa europea e dalla letteratura scientifica. Il Regolamento Ue 6/2019, che entrerà in vigore nel 2022, impone di non usare gli antibiotici come sostituti di una buona gestione aziendale basata su igiene e benessere animale, e di non utilizzare gli antibiotici ai fini profilattici e metafilattici. Si tratta quindi, nel caso della vacca da latte, di abbandonare il trattamento antibiotico a tappeto alla messa in asciutta – che pure aveva dato ottimi risultati in quanto andava anche a contrastare il primo dei due picchi di contaminazione della mammella da parte dei patogeni ambientali durante l’asciutta, quello della prima settimana di far off – in favore della cosiddetta asciutta selettiva, ovvero del trattamento antibiotico alle sole vacche malate. Ma come distinguere le vacche malate da quelle sane e come asciugare le vacche sane? Su questo fronte ci viene in soccorso la letteratura scientifica, in particolare un lavoro di Bradley e collaboratori del 2018, che fa il punto sulle ricerche effettuate e sulle principali conclusioni, mettendo in luce due aspetti: primo, che il tenore di cellule somatiche è un indicatore attendibile e sufficiente per individuare le vacche affette da mastite sublclinica. Secondo, che le vacche con ogni probabilità ‘sane’ sono quelle che agli ultimi tre controlli mensili sono risultate sempre al di sotto delle 200mila unità per millilitro. È un approccio, questo, che ci sembra semplice e sensato, ma nessuno vieterà ai nostri allevatori di usare anche altri criteri e altri strumenti per distinguere le bovine mastitiche da quelle sane (come il California mastitis test, gli esami colturali e la diagnosi tramite Pcr). O vieterà di utilizzare differenti soglie di cellule somatiche per decidere in autonomia se optare per un approccio prudente, volto prima di tutto a limitare i rischi di malattia, o un approccio più coraggioso, finalizzato invece a ridurre in primis il numero di trattamenti. L’esperienza di campo di questi ultimi anni è che di solito si parte prudenti, con una soglia molto bassa, per passare via via a soglie più alte”. Per quanto riguarda le modalità di gestione delle vacche sane, non trattate, “va tenuto in massimo conto – afferma Nocetti – quanto suggerisce la letteratura scientifica: una buona gestione del periodo di transizione, anche dal punto di vista alimentare e metabolico; un’igiene perfetta nel periodo di inizio asciutta e di pre-parto, e infine l’impiego alla messa in asciutta dei sigillanti interni, facendo molta attenzione all’igiene durante la somministrazione”.

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Il sistematico rilievo del tenore delle cellule somatiche nel latte è lo strumento più semplice e attendibile per individuare quali bovine asciugare senza antibiotico
 

Uso mirato in lattazione

Anche per quanto riguarda l’approccio al trattamento delle mastiti cliniche in lattazione, il Servizio di produzione primaria del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano si riferisce a quanto suggerisce la letteratura scientifica. “In buona sostanza – sintetizza Nocetti – in presenza di alterazioni visibili del latte, accompagnati o meno da quarti gonfi o stoppini, l’allevatore è chiamato a effettuare un prelievo e a utilizzare i test microbiologici on farm oggi disponibili in commercio. Sono dispositivi che richiedono personale formato e un piccolo laboratorio aziendale mantenuto in perfette condizioni igieniche, ma che offrono il grande vantaggio di dare una risposta rapida, nel giro di 24 ore, in base alla quale decidere se effettuare o meno la terapia antibiotica. Perché se nelle piastre non c’è crescita di colonie batteriche o se c’è crescita di Gram negativi, la terapia antibiotica non serve. In presenza invece di Gram positivi la terapia antibiotica può essere necessaria: lo è sicuramente in caso di Streptococchi, mentre se c’è crescita di Staphylococcus aureus (dove i terreni lo differenzino) il ricorso alla terapia antibiotica è da valutare caso per caso. Quanto al principio attivo, il veterinario prescriverà quello indicato dai risultati degli antibiogrammi precedenti. Infatti il latte prelevato per i test on farm va comunque congelato e inviato periodicamente al laboratorio per una precisa diagnosi eziologica e per l’antibiogramma, proprio al fine di sapere quali patogeni circolano in azienda e quali antibiotici usare. Sicuramente i Cia vanno utilizzati soltanto come extrema ratio”.
Ma c’è una buona notizia, ricorda Nocetti: dove gli antibiotici vengono usati in modo razionale, le penicilline hanno mostrato un recupero di efficacia. A conferma che l’antibiotico-resistenza è un fenomeno reversibile.
 

Duplice strategia

E se sul fronte del benessere animale il Servizio di produzione primaria del Consorzio è letteralmente sceso in campo, andando a visitare una per una tutte le aziende del comprensorio, per quanto riguarda l’introduzione dell’asciutta selettiva e delle terapie antibiotiche mirate (vedi box) l’approccio sarà diverso, e basato su una duplice strategia: “Da un lato – afferma infatti Nocetti – attraverso la nostra newsletter settimanale e i nostri corsi di formazione, intendiamo mantenere informati i nostri allevatori sulla necessità di dare un contributo alla lotta contro le antibiotico-resistenze, e sull’importanza di tenere alta la reputazione del nostro formaggio. Un aspetto che, ribadisco, a nostro giudizio va nell’interesse anche economico degli stessi allevatori. Dall’altro lato il nostro Servizio intende collaborare attivamente con le associazioni allevatori, con il mondo veterinario – gli Istituti zooprofilattici, le società scientifiche di settore, i liberi professionisti, ecc. – e con tutti coloro che a vario titolo forniscono consulenza nelle stalle, per dare un concreto supporto agli allevatori in questa delicata fase di passaggio. Quindi ci faremo parte in causa per organizzare convegni e sviluppare protocolli ad hoc”. Il Consorzio non scende direttamente in campo, ma è pronto a battersi con chi ne condivide gli obiettivi. 

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È stato stimato che la diagnosi on farm consente di dimezzare la quantità di antibiotici usati contro le mastiti cliniche della lattazione