La chetosi si potrà prevedere

Se il rischio chetosi è elevato, bisogna intervenire con misure forti

Salute animale

La chetosi si potrà prevedere

In base ad alcuni indicatori, tra cui la composizione lipidica del latte, si potrà predire con buona accuratezza se una bovina andrà soggetta a questa patologia

Si può discutere di quanto la chetosi sia presente e di come si sia evoluta nel tempo, ma non si può non concordare che la mobilizzazione dei grassi corporei è in fondo una grande opportunità per le bovine da latte. Senza questo “boost” di lipidi, le bovine difficilmente sarebbero in grado di sostenere le elevate produzioni di latte rese possibili dalla moderna selezione genetica. È un equilibrio delicato tra stato dismetabolico e fisiologica mobilizzazione delle riserve. In tale ottica, il monitoraggio delle mobilizzazioni lipide è il punto chiave. Ecco allora che la moderna ricerca viene in soccorso del veterinario e dell’allevatore attraverso sistemi di prevenzione della chetosi che evolvono verso soluzioni semplici ed efficaci.
 

Quanto investire

Esistono diverse strategie per prevenire e ridurre l’incidenza della chetosi. I miglioratori delle fermentazioni ruminali (chimici o biologici) così come gli epatoprotettori sono sicuramente utili. Anche i precursori gluconeogenetici si sono dimostrati estremamente efficaci. Esiste poi strategie dietetiche mirate, quali le diete leggere in asciutta o la modulazione della proteina e dell’amido nel periodo di transizione. Infine non vanno trascurati gestione e benessere, sovraffollamento e cow comfort.
Tutte queste azioni hanno però un costo e necessitano di investimenti a corta, media e lunga durata. Inoltre non esiste una strategia univoca: ogni allevamento dovrà trovare il proprio schema preventivo/terapeutico efficace sia tecnicamente, ma anche alla luce dei costi.
Come raggiungere tale ambizioso obiettivo tecnico/economico? La risposta ha come suo punto di partenza l’identificazione del problema e la sua misurazione (prevalenza ed entità). Non si può pensare di risolvere ciò che non è ben definito. Ecco pertanto l’importanza del monitoraggio della chetosi per definire il livello del rischio e misurare il costo e l’efficacia dell’intervento.  In termini pratici se in una stalla il problema della chetosi è elevato, non si potrà intervenire con misure blande poiché i pochi euro spesi per bovina non sortiranno gli effetti desiderati e potrebbero rivelarsi uno spreco anziché un investimento.
Viceversa in caso di allevamenti con chetosi a livelli minimi, si potrà mettere in atto un programma quasi individuale sui soggetti-problema, minimizzando in tal modo gli investimenti ed ottenendo ottimi risultati.

latte, goccia, chetosi
La mobilizzazione dei grassi corporei aumenta la presenza nel latte di acidi grassi a lunga catena
 

Monitorare sì, ma come?

Il monitoraggio è pertanto la chiave. Ci si potrebbe affidare alla valutazione degli animali da un punto di vista clinico, al monitoraggio della valutazione della variazione della condizione corporea, al comportamento alimentare post-partum. Tuttavia tali rilevazioni possono solo darci una valutazione qualitativa, senza indicarci la prevalenza precisa. Oggigiorno impostare azioni su ciò che non è preciso o non viene misurato risulta anti-economico.
Il metodo più comunemente utilizzato per misurare la presenza di chetosi è la misurazione dei corpi chetonici utilizzando strumenti portatili in grado di misurarne la presenza nel sangue. Questa valutazione di solito si compie su un campione di animali ed è però molto laboriosa. Il costo poi, seppur non enorme, non è nemmeno trascurabile.
Recentemente sono state sviluppate nuove tecnologie che si avvalgono dell’informatica e che riescono, attraverso predizioni matematiche associate alla spettrometria, a misurare le componenti di sangue e latte (tecnologia FTIR) utilizzando come marker alcuni corpi chetonici come il betaidrossibutirrato (BHB) o l’acetone. Tuttavia tali metodi sono stati validati spesso con l’utilizzo del prelievo di latte mensile e il rapporto grasso/proteine. Basandosi sul prelievo mensile, tale rilevazione non riesce a rilevare i problemi a livello di singolo individuo e non esistono studi approfonditi sul valore predittivo in termini di produzione e di stato di salute degli animali a cui viene misurato il livello di corpi chetonici con tale sistema.
 

Nuovi indicatori

Recentemente è stato valutata la possibilità di prevedere lo stato di chetosi attraverso nuovi indicatori, quali la stima dei NEFA (acidi grassi non esterificati) e la percentuale di acidi grassi di nuova sintesi relativamente alla concentrazione di acidi grassi totali nel latte. Il valore di tali parametri risiede nel fatto che il loro monitoraggio ha dimostrato risultati promettenti su animali con iperchetonemia e sulla capacità di prevedere il rischio di chetosi e di dislocazione dell’abomaso. Recentemente un gruppo di lavoro dell’Università Cornell (Bach et al., 2019) ha messo in evidenza come la misurazione dei livelli di BHB nel latte unitamente ai livelli di NEFA ematici e alla percentuale nel latte degli acidi grassi di nuova sintesi possono essere utilizzati come indicatori predittivi della prevalenza di patologie e di riforma durante le prime fasi di lattazione. Meno chiara è invece risultata la correlazione con la produzione di latte.
Sulla stessa traccia, un altro studio proveniente dall’Australia (Luke et al., 2019) ha messo in evidenza le potenzialità della tecnologia ad infrarossi per la rilevazione nel latte di metaboliti indicativi, la correlazione con i loro livelli nel siero e il loro utilizzo a scopo predittivo. Tra tali sostanze le principali sono state il BHB, gli acidi grassi, l’urea, il calcio, il magnesio, l’albumina e le globuline.
 

A tutto grasso

La componente lipidica sembrerebbe quella che più ricorre nelle nuove ricerche scientifiche. Del resto è noto come la componente lipidica del latte è composta prevalentemente di acidi grassi a corta e media catena mentre i depositi lipidici corporei della bovina da latte contengono prevalentemente acidi grassi a lunga catena (quali stearico ed oleico). Durante gli stati energetici negativi, la mobilizzazione dei grassi corporei aumenterà la presenza nel latte di acidi grassi a lunga catena C-18 diminuendo il quantitativo di quelli a catena corta (Gross et al., 2011). In generale questi due studi forniscono alcuni spunti interessanti. In primo luogo la ricerca si sta indirizzando da tecniche di misurazione ematica a rilevazioni sul latte, in modo da poter avere una matrice di analisi più facilmente reperibile e con ottenibile senza l’ausilio di tecniche invasive. In secondo luogo le tecnologie d’elezione sarebbero quelle che prevedono l’utilizzo delle misurazione spettrofotometriche e a infrarossi. Il terzo elemento è che non esiste un unico parametro su cui basarsi, ma l’accuratezza di previsione aumenta all’aumentare delle sostanze esaminate. Quindi non un indicatore ma un insieme di indici da valutare. Infine nel caso per vari motivi si dovesse scegliere “il parametro”, questo dovrà essere ricercato all’interno della componente lipidica e nel metabolismo degli acidi grassi. “Chi vivrà vedrà”.

di Andrea Roberti