“Noi piccoli vogliamo contare di più”

Gestione mandria

“Noi piccoli vogliamo contare di più”

Siamo andati a trovare Cristina Rainelli, la combattiva presidentessa dell’Associazione delle casare e dei casari di azienda agricola, nell’agriturismo di famiglia, alle pendici del Monterosa. Formazione professionale e maggiore riconoscimento del peso economico dei piccoli allevatori-trasformatori: queste, secondo Cristina, alcune delle leve su cui agire per dare un futuro al comparto

 

Si sale lungo la pista di sci che dal Monterosa scende verso Pecetto, tra prati fioriti costeggiati da fitte conifere. Poi, dopo aver attraversato un torrente carico di acqua di fusione del ghiacciaio, ecco la mandria di Pezzate Rosse, e infine la piccola borgata d’alta quota che è anche la meta del nostro viaggio: una cappelletta votiva, un gruppo di case in pietra e legno ristrutturate o in corso di restyling, e il ristorante meta dei camminatori in ferie su queste montagne.
Benvenuti all’Alpe Burki, il piccolo regno lattiero-caseario che Cristina Rainelli conduce insieme al marito Alessio Zanetta e alla cognata Silvia. Un collaudato team di allevatori-casari-ristoratori (con laurea, rispettivamente, in biologia molecolare, sociologia e scienze della comunicazione) che con l’aiuto di Manuela, un’amica di infanzia di Alessio, si procurano di che vivere “coltivando” questo meraviglioso angolo della “valle dei Walser”.

 

Burki titolari.jpg

I titolari dell’agriturismo Alpe Burki di Macugnaga (Vb). Da destra: Cristina Rainelli con il consorte Alessio Zanetta e la cognata Silvia

 

Parlano i numeri

“Abbiamo ereditato questo alpeggio – ci spiega Alessio al nostro arrivo – dal nostro trisnonno materno, che nel 1871 ne divenne il proprietario versando il dovuto alla comunità, per la costruzione della chiesa parrocchiale. Un tempo l’area arrivava fino ai 2.200 metri di quota, ma adesso pascoliamo solo i prati qui intorno, a 1.600 metri di altitudine, che sono tutti recintati e che vengono sfruttati il più possibile a turno, fonti d’acqua permettendo”.

 

Burkimonte.jpg

L’alpeggio si trova a1.600 metri di quota, sotto il massiccio roccioso del Monterosa


Oltre ad Alessio e a Cristina con i 3 figli e al resto del team Alpe Burki, a passare l’intera stagione estiva in alpeggio ci sono naturalmente anche loro, le vacche. Una decina i capi in latte, più un’asciutta, una manzetta e un torello da monta naturale approvato dall’Anapri. “I vitelli no – osserva ancora Alessio – li lasciamo giù in paese, accuditi dallo zio di Cristina. Sa, anche qui ci sono i lupi…”.

Vitelli o non vitelli, il lavoro non manca: oltre a gestire il pascolo, occorre radunare e mungere le vacche mattino a sera, trasformare i circa 2 quintali di latte prodotti giornalmente nelle 12 referenze proposte, e naturalmente portare avanti l’attività agrituristica, che costituisce anche il principale canale di commercializzazione dei formaggi “made in Burki”. Oltre ad arricchire il menù del ristorante e ad essere esposti in bell’evidenza per la vendita diretta, questi vengono anche destinati ad alcuni negozi di generi alimentari della valle e ad alcuni ristoranti di prossimità (“il nostro caseificio è registrato, ma non abbiamo il bollo Ce”). Altra, efficacissima valvola di sfogo dei prodotti di casa, sono infine i pacchi natalizi che, come ci spiega Silvia Zanetta, vengono proposti alla clientela conosciuta in alpeggio, durante la stagione estiva: “per posta elettronica o via whatsapp mandiamo a tutti coloro che ci hanno lasciato il recapito un depliant in formato pdf, in cui illustriamo nel dettaglio i prodotti inclusi nei pacchi”.

 

Burkiagritur.jpg

Il ristorante agrituristico che durante l’estate accoglie i camminatori. I formaggi di casa sono inseriti nel menù, ma sono anche esposti in vendita

 

Casare & casari

Ma uno dei motivi della nostra visita all’Alpe Burki è anche scambiare quattro parole con Cristina Rainelli che, come alcuni di voi sapranno, è anche la presidentessa (al secondo mandato triennale) dell’Associazione delle casare e dei casari di azienda agricola. Un sodalizio che al momento rappresenta, purtroppo, solo una ristretta quota dei circa 5mila allevatori con mini-caseificio stimati sul territorio nazionale. Un peccato, perché quel fitto tessuto di piccole realtà agro-zootecniche che popola e mantiene in vita i nostri territori marginali, ha assoluto bisogno di un’associazione di riferimento che ne tuteli gli interessi, e magari ne curi anche la formazione professionale.
“Verissimo – esordisce Cristina – noi piccoli trasformatori abbiamo il dovere di migliorarci. Ecco perchè ci vuole più formazione, ma una formazione pratica, efficace. Ad esempio per approfondire la tecnica casearia e saperla sfruttare al meglio, o per migliorare l’igiene della mungitura. Come produttori di formaggi a latte crudo – continua Cristina Rainelli – le infezioni umane da Coli STEC (produttori di shigatossine, ndA) ci preoccupano e personalmente, come madre di famiglia, mi coinvolgono anche dal punto di vista emotivo. Considerato che il problema riguarda la fase a monte del caseificio, ovvero la stalla, ritengo indispensabile mettere in campo una formazione di base efficace dei casari di alpeggio, sul modello di quella realizzata di recente in Friuli, a cui ho avuto modo di partecipare anch’io. In tale occasione, i veterinari dell’Asl locale hanno spiegato, spesso in dialetto, quali concrete misure igieniche occorre applicare in sala di mungitura per mitigare il rischio. Ribadisco, un modello formativo che alla nostra associazione piacerebbe replicare in tutta Italia”.

 

Burkilab.jpg

Il mini-laboratorio di microbiologia che Cristina ha assemblato per realizzare un efficace autocontrollo igienico delle proprie produzioni casearie

 

Imparare a fare i conti

“Ripeto – riprende Cristina – credo che per noi piccoli migliorarsi sia un obbligo. Perché si, è vero che alla fine il formaggio viene sempre e in alpeggio lo vendi sempre, anche quando ci sono dei difetti. Difetti che il consumatore non sa riconoscere, o che è addirittura indotto a vedere come pregi. Ma se ci facciamo cullare da questa certezza, non cresceremo mai, e nel lungo periodo non sapremo reggere alla formidabile concorrenza portata dall’industria, che è in grado di produrre vere e proprie eccellenze, a cominciare dalle Dop. Altro tema: in azienda dobbiamo imparare a fare i conti, perchè è assolutamente necessario sapere quanto ci viene a costare il litro di latte. Senza questa conoscenza diventa infatti impossibile assegnare ai nostri formaggi un prezzo che sia realmente remunerativo, e dunque trarre un reddito dalla nostra attività. Così finiamo per dipendere dalla Pac, condurre una vita sacrificata e alla lunga questo indurrà i nostri figli a chiudere l’azienda. Ma ripeto, per tutti questi aspetti ci vuole una formazione efficace, calata nella realtà operativa, in cui le indicazioni scaturite dalla ricerca scientifica vengano tradotte nella pratica quotidiana delle nostre aziende. È proprio a questo fine che la nostra associazione ha attivato diverse collaborazioni con le Università, gli Istituti zooprofilattici e gli altri enti che si occupano di ricerca e formazione nel nostro settore”.

 

Burkitavolo.jpg

Cristina al lavoro nel mini-caseificio dell’alpeggio

 

Burkiricotta.jpg

Nel caseificio dell'Alpe Burki vengono prodotte 12 referenze, che spaziano dai formaggi a latte crudo e termizzato, ai latticini freschi e affumicati (come nel caso della ricotta ritratta qui sopra)

 

Incidere sulle normative

L’altra colonna portante del Rainelli-pensiero è la necessità di incidere sul processo legislativo. “Uno dei nostri maggiori problemi – osserva infatti Cristina – è che dalla Pac fino alle leggi di settore nazionali, le nostre piccole aziende sono in tutto e per tutto uniformate alle grandi realtà. Abbiamo invece bisogno di operare in un contesto normativo adeguato, su misura. Ma per essere presi in considerazione dalla Politica e poter essere consultati nel corso dell’iter legislativo, dobbiamo essere di più per dare forza alla nostra voce. E smettere di presentarci come quelli dei formaggi a latte crudo, etichetta che la gente comune stenta a decifrare, ma iniziare a parlare la lingua dei numeri, così da mettere in evidenza il nostro peso economico: siamo un comparto che produce tot formaggio, che alimenta un ricchissimo indotto, che genera occupazione e cura del territorio, e che funge da volano per il turismo”.
E per rafforzare il concetto, Cristina ci parla di un suo collega presidente di un’associazione scandinava di piccoli allevatori-trasformatori, a cui pare che il Governo nazionale abbia chiesto di quantificare la capacità produttiva degli associati, nella malaugurata ipotesi in cui i grandi allevamenti vengano messi “fuori combattimento” da un ipotetico esercito invasore straniero. “Questo dimostra che una qualche importanza economica ce l’abbiamo anche noi piccoli, giusto?”.
Un fatto a nostro avviso innegabile, anche in un contesto pacifico.

 

Nota dell’autore: questo reportage è stato effettuato pochi giorni prima dell’alluvione che ha distrutto la località di Pecetto. Per chi volesse esprimere la propria concreta solidarietà agli abitanti della “valle dei Walser” regalandosi una breve vacanza in zona: https://visit-lakemaggiore.com/scoprimacugnagaelavalleanzasca/