Anche la “transition calf” merita più attenzione

Per il vitello si sottovalutano i cambiamenti che l’animale subisce nei primi mesi di vita

Gestione mandria

Anche la “transition calf” merita più attenzione

Il passaggio dall’ultima fase in gabbietta fino al primo mese nel box collettivo è una fase cruciale per la vita del vitello e per la carriera della lattifera

Anche per i non amanti degli inglesismi, transition è un termine che descrive bene una situazione di cambiamento. Per le vacche da latte è usato per descrivere il momento di passaggio dallo stato di gravidanza al primo periodo dopo il parto, in cui avviene una vera e propria rivoluzione ormonale e produttiva. Nel caso del vitello sono molto sottovalutati i cambiamenti che l’animale deve subire nei primi mesi di vita a partire dalla nascita, ma che hanno invece una rilevanza per la vita immediata ed enormi ripercussioni per la futura carriera produttiva.
Dopo il parto, il neonato è completamente scoperto dal punto di vista immunitario e quindi la sua salute dipende da quanto la madre e l’allevatore sono stati bravi a fornirgli il colostro che gli serve; poi il vitello deve “educare” gli enzimi digestivi a digerire il latte e, non appena abituatosi, deve modellare il complesso dei prestomaci per diventare un ruminante. Questo solo dal punto digestivo, perché nel frattempo ha dovuto cambiare almeno 2-3 alloggi ed è stato mischiato ad altri vitelli sconosciuti. Se si pensa a cosa succede ai nostri bambini il parallelo è immediato. Alla nascita il neonato si trova in un ambiente sconosciuto in cui l’unico punto di contatto con il nuovo mondo è la madre; poi si va a casa: tutto diverso, un lettino nuovo, suoni nuovi, il latte se va bene è quello della mamma oppure è uno artificiale (buono per carità, ma bisogna abituarsi); poi piano piano si passa alle pappine e infine agli alimenti degli adulti. Raggiunto questo traguardo comincia la socializzazione, prima asilo poi scuola; all’asilo cominciano le prime amicizie e anche i litigi, la condivisione dei giochi e la lotta per accaparrarseli, ma la condivisione vale anche per le malattie che avranno più presa su quei soggetti più deboli e meno coperti dal punto di vista anticorpale. Tornando al nostro vitello: alla nascita deve contare su un buon colostro e su una buona gestione da parte dell’allevatore, mirata a contrastare efficacemente gli insulti patogeni a cui è sottoposto; successivamente è norma collocarlo in una gabbietta singola nella quale l’animale dovrebbe stare fino a che non termina la somministrazione lattea, dopodiché viene spostato in un box a terra dove avrà soltanto alimenti solidi.

vitello, transition calf
Solo dopo i due mesi di vita il sistema immunitario del vitello è realmente performante

Se facciamo una riflessione su quali sono i periodi più critici dal punto di vista sanitario, ci accorgiamo che i vitelli si ammalano di più nel primo mese di vita e poi dopo la messa a terra, proprio le fasi dei cambiamenti. Nel primo mese la salute del neonato, oltre che dalla gestione e dall’alimentazione lattea, dipende in gran parte dalla copertura anticorpale colostrale, visto che il suo sistema immunitario sarà abbastanza competente solo dopo i 2 mesi di vita. Diversa è la caduta che si verifica dopo lo svezzamento, ed è qui dove la gestione fa la differenza.
 

Fase cruciale

Torniamo a pensare a cosa succede ai nostri figli quando vanno all’asilo: devono conoscere tanti altri bimbi e devono capire quali stratagemmi usare per convivere. Lo stesso è per il vitello: dopo essere sempre stato protetto in una gabbietta singola, con il cibo che gli veniva regolarmente proposto quotidianamente, si trova a dover fronteggiare l’esuberanza di altri compagni che ugualmente si trovano a disagio; il cibo non è più nel secchio lì davanti e quindi bisogna andare a cercarlo e spesso a conquistarlo; l’acqua, così preziosa, è da trovare.
È evidente che in questa fase la numerosità del gruppo risulta determinante per la gestione dello stress: gruppi di oltre 10 capi hanno performance decisamente inferiori rispetto a quelle di gruppi più piccoli. Il transition calf è proprio il periodo che va dall’ultima fase dello svezzamento al primo mese dopo il collocamento nei box collettivi. Numerose sono le prove che dimostrano l’importanza di una corretta gestione di questa fase. Se prima di portare all’asilo il nostro bambino, lo facessimo giocare con degli amici a casa o al parco, forse i primi giorni non piangerebbe; così succede anche per il nostro vitello se durante l’ultima fase di svezzamento lo mettiamo a socializzare con un numero ristretto di coetanei: si abitua alla altrui presenza e non subisce il doppio stress del cambio di alimentazione e di abitazione. È provato che in questa fase la convivenza incentiva l’assunzione di mangime con evidenti effetti sull’accrescimento e sulla funzionalità ruminale.
 

Funzionalità ruminale

È questo l’altro punto nodale sul quale bisogna prestare molta attenzione. Nel primo periodo il rumine si sviluppa in modo allometrico, vale a dire che la sua crescita è maggiore rispetto a quella del resto del corpo, ma oltre alla dimensione è fondamentale lo sviluppo funzionale e quindi la crescita delle papille ruminali, il vero intercettore degli acidi grassi volatili prodotti dalle fermentazioni.
Altezza e larghezza delle papille sono dovute allo stimolo proprio di queste molecole, soprattutto dell’acido butirrico e in parte del propionico, che a loro volta sono prodotti da quei microrganismi che crescono in presenza di concentrati. Le ricerche di qualche anno fa di Jud Heinrichs della Penn State University documentano proprio le ripercussioni di differenti alimentazioni sullo sviluppo morfo-funzionale del rumine (vedi figura 1). Negli ultimi tempi Alex Bach della spagnola Irta ha dimostrato che associare una piccola percentuale di fibra tagliata cortissima aiuta l’ingestione, ma questo nulla toglie al concetto di somministrare concentrati fin dai primi giorni di vita. Quale forma dei concentrati? Il dibattito è ancora aperto tra i sostenitori del pellet e quelli che amano il multiparticle, cioè un mangime con materie a granulometria diversa. Probabilmente la partita si gioca su qualità ed equilibrio del mix, ma di sicuro entrambe le forme sono vincenti rispetto ad un mangime sfarinato.

vitello, transition calf, rumine

Se torniamo all’esempio dei nostri bambini, quando è il momento di passare dalle pappine al cibo degli adulti? Sicuramente il cambio non si fa drasticamente, ma sarà lento e graduale, non soltanto per abituarli ai nuovi sapori, ma soprattutto per stimolare la produzione degli enzimi deputati alla digestione di queste nuove sostanze. La stessa cosa deve essere nei vitelli: come non si può sospendere la somministrazione del latte e transitare immediatamente all’alimentazione solida senza prima aver sviluppato i prestomaci, così non si può passare direttamente dal mangime ad un altro concetto alimentare. In pratica, mentre si sta somministrando il mangime, è buona norma iniziare anche a proporre l’alimento del periodo successivo allo svezzamento (vedi esempio del grafico 1). Per il post-svezzamento sta dando ottimi risultati l’applicazione di un unifeed dedicato fino ai 6-7 mesi di età. Questa tecnica permette, finalmente, di inserire la fibra, e quindi di completare la competenza ruminale, ma anche di soddisfare i fabbisogni specifici degli animali in questa fase (nutrizione di precisione). Per questo tipo di alimentazione l’utilizzo di insilati è poco gradito da una mucosa ruminale ancora immatura; per di più la miscelata preparata con alimenti secchi offre anche il vantaggio di potersi conservare per più giorni senza pericolo di deterioramenti.

vitello, transition calf
 

Stress e malattie

Come è importante la nutrizione così lo è altrettanto l’aspetto sociale. Il passaggio dalla gabbietta singola alla messa in box multiplo è simile al momento in cui i bambini, abituati a stare soli a casa con la mamma, vengono portati all’asilo dove ci sono altri coetanei, ognuno con la propria storia “sociale” e con i propri patogeni; i pasti, anche se perfettamente bilanciati, sono spesso diversi dalle abitudini di casa. La reazione sarà diversa da individuo a individuo, ma sicuramente tutti questi cambiamenti saranno motivo di stress, con conseguenti ripercussioni sul sistema immunitario e inevitabili situazioni patologiche. Nel vitello accade la stessa cosa, sommare fattori stressanti, come cambi alimentari e sociali, determina un abbassamento delle difese che porta inevitabilmente a una maggior sensibilità a problematiche sanitarie come quelle dell’apparato respiratorio o del digerente (vedi la coccidiosi) oppure allo scatenarsi di infezioni come la tricofitosi. Gli studi che negli ultimi anni si stanno avvicendando, dimostrano quanto sia importante la gestione della transizione. Recenti prove, ad esempio, hanno dimostrato che aumentando la superficie della gabbietta migliorano le performance (M. S. Calvo-Lorenzo). Così pure, si è visto che lo svezzamento in coppia stimola la competizione, determina pasti più frequenti, una maggior assunzione di alimento e inoltre anche dopo lo svezzamento, quando i vitelli vengono raggruppati in box, mantengono la capacità di competere e si adattano con minori difficoltà (E.K. Miller-Cushon). Per quanto riguarda la numerosità dei gruppi, è un dato assodato che gruppi maggiori di 8-10 vitelli hanno maggiori probabilità di ammalarsi e di avere performance peggiori (Svensson). Un esempio di come potrebbero essere gestiti i gruppi e gli spazi della rimonta ci è riportato nella tabella 1. Tuttavia, alla luce di quanto esposto sul transition calf, si potrebbe ripensare alla formazione dei gruppi. Ad esempio se utilizzassimo delle gabbiette singole con le pareti mobili si potrebbero modulare i raggruppamenti.

vitello, transition calf

Questa tecnica permetterebbe di tenere separati i vitelli durante il primo periodo di vita, quando le patologie sono più frequenti (intorno ai 20-30 giorni), successivamente di poter sfruttare il vantaggio dello svezzamento in coppia e infine di allargare i gruppi in modo graduale. Per cui la tabella della Penn State si potrebbe così modificare secondo quanto indicato in tabella 2. Questa tecnica non si è ancora diffusa nel nostro Paese, anche per la difficoltà di reperire questi tipi di alloggiamento, ma come si stanno facendo grandi progressi per il benessere della vacca da latte ci si augura che ben presto anche all’allevamento della rimonta venga data l’importanza che si merita.

di Claudio Alberini - Medico Veterinario